Eccidio di Campo ai Bizzi - 1944

Eccidio di Campo ai Bizzi - 16 febbraio 1944

 

 Il 16 febbraio 1944, una squadra di partigiani appartenenti alla III Brigata Garibaldi “Camicia Rossa”, si trovava presso il podere Campo ai Bizzi,  località Frassine, con il compito di costruire in quella zona dei nuovi capanni e predisporre il funzionamento di un forno per il pane .  Nelle prime ore del giorno, in seguito a delazione, i poderi di Campo ai Bizzi e Poggio Rocchino furono circondati dai fascisti della GNR di Massa Marittima coadiuvata dalla GNR di Follonica e da tutti i fascisti della zona, anche borghesi, mobilitati per l’occasione. Un rastrellamento in grande stile che intendeva affossare la banda partigiana mentre si stava ricostituendo, dopo un precedente rastrellamento. A Poggio Rocchino i militi fascisti colsero di sorpresa i partigiani addormentati catturandoli.  Nell’altro podere  assediato dal capitano della GNR Nardulli,  vi fu resistenza. Si trovavano a Campo ai Bizzi  i partigiani Otello Gattoli (Massa M. 36 anni) , Pio Fidanzi (Prata 19 anni)  ,Benedici Silvano (Volterra 23 anni),     Meoni Remo (Montale  27anni )    insieme a Giuseppe Fidanzi, fratello di Pio, Montemaggi Fosco,  Gentili Dino  Guarguaglini Fulvio e Leoncini Canzio. Presso il podere si trovava la famiglia Frangioli, con la madre vedova e due figli: Vittorio (di 7 anni) e Selvaggio (detto Aldo di 19 anni), con loro si trovava anche un giovane renitente alla leva di origine siciliana: Salvatore Mancuso  (Catania 23 anni) che si unirà ai partigiani. Giuseppe Fidanzi si accorse della presenza dei militi in avvicinamento e  avvertì  i compagni prima di fuggire con Selvaggio,  ma fu comunque intercettato e catturato. I partigiani dal pianoterra salirono al piano superiore aprendo un varco nel solaio e risposero agli spari che provenivano dall’esterno. La battaglia durò circa 4 ore, finché, rendendosi conto della superiorità numerica del nemico  e dell’impossibilità di resistere con pochi fucili e qualche bomba a mano, decisero di arrendersi. Si precipitarono per le scale con le mani in alto, ma Pio Fidanzi, il primo della fila fu  investito da una raffica di mitra ed ucciso, i partigiani a lui vicini  furono bloccati dai militi e catturati, intanto Leoncini  saltava giù da una finestra riuscendo a fuggire. Meoni (medaglia d’argento al valor militare) vedendo Pio Fidanzi morto, decise di rientrare in casa   e di continuare a combattere insieme ai compagni Gattoli, Benedici Meoni e Mancuso furono comunque costretti ad arrendersi per il fuoco appiccato alla casa dai fascisti. Mentre scendevano le scale con le mani dietro la  testa furono investiti dal fuoco nemico, portati sull’aia del casolare fu infierito selvaggiamente sui loro corpi,fino alla morte. Nelle loro bocche  e nelle ferite furono trovati gusci d’uovo, ad alcuni furono sottratte le scarpe e il portafogli Nella stalla morirono arsi vivi due vitelli, due buoi e il cavallo dei partigiani.  Il processo istruito dalla Corte di Assise Straordinaria di Grosseto  nel dopoguerra, si risolse dopo diversi gradi di giudizio con l’assoluzione di tutti gli imputati . Il capitano Nardulli fu  condannato a morte e giustiziato ad Asti nel settembre del ‘45 , solo per i gravi crimini commessi in quella località, prima dell’istruzione del processo di Grosseto.

 

Contenuto realizzato da Katia Taddei, esperta di storia locale del periodo della Resistenza di cui ha ricostruito importati eventi attraverso lo studio degli atti giudiziari e di testimonianze orali. Tra le sue opere si ricorda l’importante volume Coro di voci sole. Nuove verità sull'eccidio degli 83 minatori della Niccioleta (Effigi).